Abbigliamento appropriato a scuola, tra libertà e decoro

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abbigliamento appropriato a scuola

Le polemiche recenti

Si è accesa, o meglio riaccesa, la discussione sull’abbigliamento appropriato a scuola. La miccia che ha fatto esplodere le polemiche è stata l’emanazione di circolari di molti dirigenti scolastici italiani relative alle regole del dress code appropriato per il contesto scolastico. Addirittura, in un liceo di Cosenza si è imposto ad una studentessa di ricoprire di scotch le fessure dei suoi jeans strappati. Una questione di decoro, affermano dirigenti scolastici e professori. Una lesione grave alla dignità personale e alla libertà di espressione, ribattono gli studenti. Di certo, portare il tutto sul piano ideologico inasprisce inutilmente il conflitto che, anzi, dovrebbe e potrebbe essere risolto con il dialogo e scelte condivise all’interno della comunità scolastica. Perché di comunità si tratta e ricordiamo che ciascuna comunità ha bisogno di regole di convivenza. Senza regole c’è spazio solo per l’anarchia.

Abbigliamento appropriato a scuola, una questione controversa

L’oggetto della polemica è il seguente: è appropriato, è decoroso indossare a scuola tenute che verrebbero indossate in contesti informali, tra amici o in spiaggia. Per intenderci, a scuola con bermuda o minigonna, con top corti o canotte, vi pare una scelta consona?

Sicuramente le temperature elevate di questo periodo impongono un adattamento del vestiario, con scelte indirizzate verso t-shirt, jeans, gonne e così via. Ma, nell’opinione di molti, non è consono rispetto all’istituzione scolastica indossare scollature, trasparenze, strappi. A tal proposito si invoca il rispetto dell’Istituzione, ma anche una certa intelligenza pratica, un sano pragmatismo. Si dice: è scontato che non ci si presenterebbe in tenuta da spiaggia al lavoro o in Chiesa, allora non lo si dovrebbe fare neanche a scuola.

Le ragioni degli studenti

Gli studenti, dal canto loro, ritengono che l’abbigliamento sia una manifestazione della propria personalità, quindi un modo per esprimere sé stessi. Censurare l’abbigliamento sarebbe una forma di censura della libertà di espressione. L’atteggiamento dei professori e dirigenti è visto dagli studenti come ottuso e retrogrado, incapace di cogliere i mutamenti del costume e della cultura dei nostri tempi. Se oggi è normale utilizzare shorts e top corti per una qualsiasi uscita in pubblico, perché dovrebbe essere proibito a scuola?

Non è banale associare l’abbigliamento alla libertà. Una minigonna non è solo un capo di abbigliamento, ma anche il frutto di un cambiamento epocale del costume e della cultura. Le donne hanno lottato per la libertà e il diritto di indossare una minigonna in pubblico. Così come oggi si lotta per un abbigliamento “genderless“, che si conformi al proprio gusto e alle proprie preferenze. Piuttosto che alle aspettative che la società nutre per gli esponenti di un determinato sesso. La lotta per l’abbigliamento è lotta per la libertà e per i diritti.

Abbigliamento appropriato a scuola, una questione di ragionevolezza

Sarà che gli studi giuridici mi hanno abituato a questa mentalità, quella improntata alla “ragionevolezza“. Mi chiedo: è ragionevole che i ragazzi si battano per indossare una minigonna, piuttosto che un paio di jeans strappati, a scuola? In quel particolare contesto dove si va per imparare, non solo ciò che è scritto sui libri, ma soprattutto a convivere con gli altri nel rispetto di tutti. Di certo non è ragionevole che si imponga ad una studentessa di coprire con scotch gli strappi dei propri pantaloni. L’unica cosa che mi pare ragionevole è dialogare e porre regole condivise sul dress code scolastico.

Pur immedesimandomi nelle ragioni degli studenti, non sono a favore della libertà incondizionata. Non mi ritengo un’esperta di moda, ma da quel poco che so credo di poter affermare che ogni capo di abbigliamento abbia la sua occasione d’uso. Per esempio, un capo d’alta moda da red carpet non verrebbe mai indossato per la Messa domenicale o per una cena tra amici. Non perché sia vietato, ma piuttosto perché sono le regole del buon gusto a suggerire altre scelte di vestiario.

Chi ha visto quel programma con Carla Gozzi e Enzo Miccio, “Ma come ti vesti“? Io lo vedevo sempre. In quel programma si evidenziavano le differenze tra le varie occasioni d’uso e le scelte stilistiche appropriate per ciascuna. In più, si insegnava ad essere alla moda, anche evitando esposizioni eccessive della propria pelle. Si tratta di buon gusto.

Direi che l’utilizzo di abbigliamento informale o addirittura balneare non debba essere proibito, ma mi pare che possa (anzi debba) essere evitato in contesti diversi da quelli per cui è pensato. Stabilire quale sia l’abbigliamento appropriato a scuola non richiede di imporre divise scolastiche. Si può comunque trovare un felice compromesso tra libertà individuale e buon gusto. Dipenderà tutto dal buon senso, dalla ragionevolezza dei soggetti coinvolti.

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Pubblicato da chiaraincyberspace

Ho venticinque anni e vengo da un piccolo paese dell'Irpinia. Dopo la laurea in giurisprudenza ho avviato il mio blog, in attesa di capire cosa ne sarà del mio futuro.