Cancel culture contro Accountability culture

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Cancel culture
Cancel culture e accountability culture

Ha avuto grande risonanza mediatica la questione dei ritratti di Mussolini presso alcune sedi istituzionali e il relativo commento del neopresidente del Senato La Russa a proposito della Cancel Culture.

Siccome non mi piace esprimere giudizi disinformati, ho letto qualcosa a proposito di questo fenomeno complesso e controverso della cultura della Cancellazione.

In effetti, il termine non ha un’accezione univoca ed è da molti contestato. Alcuni lo ritengono sinonimo di censura o di politicamente corretto. Poiché ho già scritto del politically correct, vi rinvio a quell’articolo per approfondimenti.

Altri lo ritengono una conseguenza dell’esplosione dei social network e della moralità (finto)puritana che si è diffusa su queste piattaforme.

In conclusione, si tratta di una forma di limitazione della libertà di espressione e anche di un tentativo di manipolare la verità storica e la coerenza storiografica. Non di rado capita che personaggi storici vengano oggi rivalutati sulla base di parametri di giudizio moderni, che nulla hanno a che fare con l’epoca a cui essi appartenevano.

Veniamo alle vicende di attualità: rimuovere le foto di Mussolini è davvero Cancel culture?

La cultura della responsabilità o Accountability culture

Mi sono imbattuta in un interessante articolo sul sito dell’università di Bologna che analizza la fenomenologia della cultura della Cancellazione.

In particolare, si fa la distinzione con un differente concetto, quello di Accountability Culture, cioè Cultura della Responsabilità.

Riporto un passo significativo:

Naturalmente c’è una diversa fazione che descrive molti di questi casi come parte di una accountability culture, ossia una cultura della responsabilità, che si riferisce all’idea per cui alcune parole o atti, anche se non puniti dalla legge, possano portare a conseguenze sociali e professionali se offendono o urtano la sensibilità comune. Il termine accountability però è problematico se uno pensa al suo uso solito, per indicare la fedeltà di dipendenti privati o cariche pubbliche a precise gerarchie, obblighi costituzionali e impegni di produzione. Usare il termine per giudicare i liberi comportamenti sociali delle persone porta la mente a scenari poco confortanti.

EMANUELE MONACO, Fenomenologia della Cancel culture: tra Woke Capitalism e diritti delle minoranze

Quindi sarebbe legittimo imputare le rispettive responsabilità a soggetti investiti di pubbliche funzioni o di specifici doveri professionali, secondo la cultura della Responsabilità.

Altrettanto non si dovrebbe fare quando si tratta della riservatezza della vita privata, dei comportamenti e delle esternazioni che ciascuno può esprimere liberamente, in quanto privati cittadini.

Quindi, lo sdegno per l’esibizione in sedi istituzionali dei ritratti del Duce potrebbe ricondursi proprio a questa diversa corrente. Infatti, si tratta di un giudizio sull’operato pubblico e politico del personaggio e del suo essersi reso responsabile di reati esecrabili.

Non c’è da dubitare di questo dato storico, giustamente documentato dai manuali di storia e dagli studi storiografici.

Mi sono posta una domanda: è così sorprendente che si voglia punire un personaggio politico (assolutamente meritevole di biasimo) negandogli uno spazio nei luoghi delle Istituzioni democratiche?

La risposta che mi sono data è negativa. Analoghe pene erano già previste in epoca romana, quando si sottoponevano alla damnatio memoriae uomini pubblici (ma anche donne) colpevoli di gravi forme di reati, soprattutto il tradimento. Non che questa pratica sia esente da critiche, intendiamoci.

Ciò indubbiamente testimonia l’ampio ricorso alla figura del “caprio espiatorio“, il colpevole (vero o presunto) da sacrificare per ripristinare l’ordine.

Alla luce di queste considerazioni, non trovo fuori luogo richiedere la rimozione delle foto incriminate. Per completezza, però, vorrei esporre anche le ragioni di chi è contrario a tale soluzione.

Cancel Culture e le ragioni per non “cancellare”

L’opposizione alla Cancel culture è molto nutrita. Diverse sono le ragioni per non volere cancellare: coerenza e veridicità storiografica in primis. Per quanto riguarda il caso più recente, si dice che eliminare i ritratti esposti nei Ministeri non cancellerà la verità storica, cioè il fatto che il Duce abbia ricoperto delle cariche politiche di spicco. E nemmeno sarebbe desiderabile dimenticarci di ciò. Non ne deriverebbe alcun giovamento.

Quindi, la memoria storica di fatti, anche nefasti, va preservata da ogni forma di censura.

Altri sostengono che la cultura della Cancellazione sarebbe un’estrema manifestazione del politically correct e delle campagne di odio che si diffondono principalmente a mezzo social.

Le cosiddette “shitstorm” ormai sono parte della nostra realtà e testimoniano l’affermarsi di una nuova “cultura della vergogna“, condita di giudizi sommari e falsi moralismi.

Una forma indiretta e subdola di censura verso ciò che i vari gruppi sociali ritengono contrario alla propria morale. Un’indebito condizionamento dei comportamenti e dei pensieri altrui.

Insomma, guai a trovarsi dalla parte sbagliata di una shitstorm!

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Pubblicato da chiaraincyberspace

Ho venticinque anni e vengo da un piccolo paese dell'Irpinia. Dopo la laurea in giurisprudenza ho avviato il mio blog, in attesa di capire cosa ne sarà del mio futuro.