La cultura e la sua mercificazione: cos’è il capitalismo culturale?

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A pochi giorni dalla scomparsa di Piero Angela, non potevo non scrivere un articolo dedicato alla cultura. E alla sua mercificazione.

Il mio scopo non è quello di sollevare polemiche, ma piuttosto quello di descrivere fenomeni che si stanno manifestando sotto gli occhi di tutti. Fenomeni che già nel lontano Duemila, l’economista Jeremy Rifkin aveva previsto. Parliamo dello sviluppo del capitalismo culturale.

Durante il lavoro di ricerca per la stesura della mia tesi, ho letto un libro intitolato “L’era dell’accesso. Nello specifico mi interessava la questione dell’accesso ad Internet, dell’accesso alle reti.

Tuttavia, il discorso mi ha così appassionato che ho esteso la mia lettura anche ai profili riguardanti l‘accesso ai beni e l’accesso alla conoscenza, alla cultura.

Sarò una sognatrice, sarò un’anarchica, una rivoluzionaria, ma vorrei tanto un mondo in cui tutti possano avere accesso a ciò che è necessario per vivere. Non sopravvivere, intendo vivere dignitosamente. In questo discorso non può non essere menzionata la conoscenza, la cultura, che è l’unica arma per difenderci da ogni forma di asservimento.

Ma se tentassero di asservirci proprio attraverso la cultura?

La mercificazione della cultura

L’economia capitalista è capace di fagocitare ogni altra sfera dell’attività umana, persino quella dei rapporti sociali e culturali. Si stanno trasformando tutti in rapporti economici.

Dice Rifkin:

La vendita della cultura, sotto forma di attività a pagamento, sta rapidamente conducendo alla creazione di un sistema in cui le relazioni umane basate su scambi economici si sostituiscono ai tradizionali rapporti sociali. Immaginate un mondo in cui quasi ogni attività […] è un esperienza a pagamento […]. Provate a pensare a quanta parte della nostra vita quotidiana, dei nostri rapporti con altri esseri umani è già strettamente connessa a relazioni di natura economica. Sempre più spesso acquistiamo il tempo degli altri, la loro considerazione, il loro affetto, la loro simpatia e la loro attenzione. Acquistiamo apprendimento e divertimento, assistenza e cura, e tutto ciò che sta nel mezzo: perfino lo scorrere del tempo sull’orologio.

La vita sta diventando sempre più mercificata e le barriere che separano comunicazione, condivisione e commercio sono sempre più labili.

Io che mi sono addentrata nel mondo dei social e della creazione dei contenuti riconosco la verità di quest’analisi. La lotta impietosa per l’attenzione del pubblico, per i like. Si creano contenuti, in base alle regole del marketing, sperando di coinvolgere emotivamente gli altri e di suscitare una reazione.

In tutto ciò, dove finisce la cultura? Dobbiamo rassegnarci a vederla relegata nei libri polverosi delle biblioteche o nelle riviste specialistiche, a cui pochi hanno accesso?

Io credo che la digitalizzazione offra preziose opportunità, per potenziare la diffusione della conoscenza e la divulgazione scientifica. Per fare l’esempio di Piero Angela, lui fu un pioniere della divulgazione del sapere, proprio perché comprese le potenzialità del mezzo televisivo e della condivisione della conoscenza con un vasto pubblico, quello dei telespettatori.

Oggi, gran parte delle interazioni umane passano attraverso Internet e i social network. La cultura non fa eccezione. Tuttavia, molti farebbero fatica a chiamare “cultura” ciò che viene prodotto e condiviso sui social.

Il tempo commerciale assorbe il tempo culturale.

Quando l’intera vita è un’esperienza a pagamento, la cultura si atrofizza e muore, lasciando i soli legami economici a tenere insieme la civiltà. Questa è la crisi della postmodernità.

[…] La trasformazione del capitalismo industriale in capitalismo culturale sta mettendo in discussione già molti degli assunti condivisi su ciò che costituisce la società. Le vecchie istituzioni fondate sui rapporti proprietari, scambi di mercato e accumulazione materiale, vengono lentamente sradicate per lasciar spazio a una società in cui la cultura sia la più importante risorsa economica, il tempo e l’attenzione i possedimenti più preziosi, e la vita di ciascuno la punta più avanzata del mercato

Ancora Jeremy Rifkin.

Ecco, non credo che si possano dire superate le vecchie istituzioni fondate sulla proprietà, altrimenti non dovremmo più tener conto del divario tra ricchi e poveri. Invece, sappiamo quanto sia sempre più ampio ed evidente.

Tuttavia, ha ragione l’Autore a dire che il tempo e la nostra attenzione sono la risorsa economica più preziosa, insieme ai nostri dati personali. Intorno a questi elementi ruota buona parte dell’economia dei nostri tempi. E non lo dico da economista, ma da cittadina e da consumatrice.

Quanto al pericolo che la cultura si atrofizzi e muoia, mi pare reale e preoccupante, ma non è persa ogni speranza. Non credo sia giusto demonizzare Internet e i social. Chi naviga nel mare magnum del web sa che ci sono contenuti di ogni genere e di ogni livello qualitativo. La differenza la fa la libera scelta. Che poi sia “libera” è opinabile.

C’è chi cerca il profitto e non si cura troppo della preparazione culturale, ma fortunatamente c’è anche chi usa il proprio spazio digitale per condividere conoscenza e alimentare il dibattito culturale su molti temi importanti. Nel mio piccolo, è proprio questo che cerco di fare.

In ogni caso, non si può dire che la cultura non fosse già, in parte, mercificata prima dell’avvento di Internet. Altrimenti, non si spiegherebbero settori economici come l’editoria, il giornalismo, lo spettacolo…Non sarebbe nata la Pop Art, se non ci fosse stato un connubio tra arte e commercio!

Non ci illudiamo, però, che ciò a cui stiamo assistendo negli ultimi anni sia un fenomeno equiparabile alla produzione editoriale o alla produzione di spettacoli del passato.

In alcuni casi, non riesco proprio a farmi andar bene la contaminazione tra cultura e marketing, mediata dai social. Il problema non è il mezzo digitale né il marketing, sono le scelte dettate da opportunismo ed avidità. Della serie “chiediamo alla più famosa influencer di avvicinare i giovani alla cultura”. Io rimango del parere che sia più corretto che di cultura si occupi chi è più competente e non chi ha più follower.

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Pubblicato da chiaraincyberspace

Ho venticinque anni e vengo da un piccolo paese dell'Irpinia. Dopo la laurea in giurisprudenza ho avviato il mio blog, in attesa di capire cosa ne sarà del mio futuro.