Dichiarazione d’indipendenza del cyberspazio

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dichiarazione d'indipendenza del cyberspazio

Avete mai sentito parlare della Dichiarazione d’indipendenza del cyberspazio?

Abbiamo già parlato di cyberspazio, almeno dell’origine del termine. Cyberspazio è un’espressione usata per indicare Internet, la rete delle reti. Internet è una complessa infrastruttura di telecomunicazione, formata da componenti fisiche ma anche immateriali. Sotto il primo profilo, parliamo delle reti di comunicazione (in rame, fibra o onde radio) e dei dispositivi, cioè i terminali dell’utente. Nell’altro elenco figurano i protocolli di trasmissione (in primis, il protocollo TCP/IP). Senza dimenticare i dati, che vengono trasmessi attraverso la rete!

Considerando l’importanza attuale di Internet, ci dobbiamo chiedere chi controlla Internet e quali regole si applicano al cyberspazio. Vediamo come risponde a tali quesiti la Dichiarazione d’indipendenza del cyberspazio.

Di cosa si tratta?

Parliamo di un documento del 1996, sembra una vita fa! L’autore è lo statunitense John Perry Barlow. Si tratta di uno scritto che racchiude in sé la più pregevole espressione della cyber-utopia, un atteggiamento fin troppo ottimistico rispetto alla realtà virtuale. Si propone un’idea libertaria, perfino anarchica, della Rete. Meglio non aver governo né regole, piuttosto che vedersi imporre delle regole restrittive da parte degli Stati. L’ intromissione dello Stato nelle dinamiche del cyberspazio è considerata illegittima e liberticida. Un tentativo disperato di estendere la propria sovranità sulla realtà virtuale. Ecco perché si rivendica l’indipendenza del cyberspazio.

Il testo della Dichiarazione d’indipendenza del cyberspazio

Per leggere il testo completo potete cliccare questo link. Per ora ci limitiamo a riportare alcuni dei temi e dei passaggi cruciali.

Barlow sostiene che gli Stati non abbiano sovranità sul cyberspazio, poiché i poteri sovrani si esercitano su un territorio. Il cyberspazio è una dimensione a-territoriale. Per di più, i governi democratici necessitano del consenso dei governati. In caso contrario, sarebbe una tirannia.

J.P. Barlow sostiene che i cibernauti non abbiano acconsentito a nessuna cessione di sovranità a favore degli Stati tradizionali, né accettino alcuna forma di limitazione della libertà online. Si sostiene che nel cyberspazio esista già un ordine innato, un equilibrio dato dai comportamenti illuminati degli utenti. Il tutto avviene in base a regole non scritte, che i cibernauti conoscono e applicano spontaneamente. Sono quelle le regole che il popolo della rete si è dato, un nuovo contratto sociale. Un’ utopia, quella di una società egualitaria e libera. Di un ordine sociale orizzontale e reticolare, non gerarchico e verticale.

Un giudizio a posteriori

Oggi ci pare chiaro che il progetto di un ordine sociale egualitario e democratico non si è realizzata. Al potere forte degli Stati si è sostituito lo strapotere delle multinazionali della tecnologia, alle quali neanche i governi riescono ad opporsi. La scelta di non inserire lo sviluppo di Internet in una cornice normativa adeguata, ha permesso ai privati di imporre il proprio ordine e le proprie regole. Ma non si tratta delle regole volute dai cibernauti, come sosteneva Barlow. Si tratta delle regole imposte in maniera unilaterale dai giganti della Rete. Gli utenti si devono adeguare, loro malgrado. E cercare ora di rimediare è un’impresa titanica. Si sta cercando di riportare al centro la persona ed i suoi diritti. L’Unione Europea è in prima linea, ma il raggiungimento dell’obiettivo è tutt’altro che vicino.

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Pubblicato da chiaraincyberspace

Ho venticinque anni e vengo da un piccolo paese dell'Irpinia. Dopo la laurea in giurisprudenza ho avviato il mio blog, in attesa di capire cosa ne sarà del mio futuro.