Morte da social network: la storia di Molly

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Morte da social

Ha ricevuto grande risonanza mediatica la notizia della prima “morte da social network”. È la storia di Molly Russell, quattordicenne inglese, morta suicida.

Nel referto del Coroner si può leggere che l’equilibrio psichico della ragazza era stato gravemente compromesso dall’aver visionato e condiviso su Instagram e Pinterest un numero consistente di contenuti (si parla di 2100 post in 6 mesi) relativi all’autolesionismo e al suicidio. Questo stato di profondo turbamento e depressione l’avrebbe condotta alla scelta estrema di togliersi la vita nel 2017.

Tale vicenda accende nuovamente i riflettori su temi delicati come quello della salute mentale, soprattutto nelle persone più fragili, quali sono gli adolescenti, per esempio.

Non è banale sottolineare il rapporto, ormai innegabile ed evidente, tra equilibrio psico-fisico dei giovani e accesso ai social network.

Nel caso di Molly Russell, per la prima volta si è registrato formalmente ed ufficialmente il fatto che alcuni tipi di contenuti digitali possano avere un rapporto causale rispetto ad eventi drammatici, come episodi di autolesionismo o persino suicidio. Ma si potrebbe dire lo stesso dei disordini alimentari.

Accorgimenti tecnici e supporto umano: come evitare un’altra morte da social

Credo che questo caso ci dimostri quanto sia importante oggi creare un ambiente digitale umano ed etico, ma soprattutto sicuro per le persone più fragili.

Mi chiedo come sia possibile nel 2022 che una quattordicenne, per di più in condizione di vulnerabilità psicologica, sia stata lasciata libera di visionare contenuti capaci di compromettere in maniera decisiva il suo equilibrio. Dove era la famiglia, gli amici, la scuola? Non esisteva nessuna rete di supporto intorno a lei?

Evidentemente, nessuno ha pensato di segnalare questi contenuti al social network, visto che è un diritto previsto dalle politiche e linee guida interne delle principali piattaforme.

Simili contenuti, relativi all’autolesionismo e al suicidio, possono essere riportati affinché sia limitata o bloccata la loro circolazione.

A mali estremi, estremi rimedi: perché nessuno ha pensato di impedirle materialmente l’accesso alla rete?

Non credo che questi accorgimenti possano essere di per sé risolutivi, ma avrebbero contribuito a tamponare la situazione. Almeno, finché non le fosse stato offerto il supporto psicologico di cui necessitava.

Soluzioni permanenti: diffusione della cultura digitale

La soluzione a lungo termine per evitare una nuova “morte da social network” è solamente la diffusione della cultura digitale. Sappiamo che in Italia le competenze digitali sono scarse, a differenza delle ore passate a navigare in rete (circa 6 ore e 22 minuti al giorno, secondo le statistiche). Il che significa che gli utenti della rete non sono consapevoli di ciò che fanno e di ciò che potrebbe capitare loro, mentre sono online. Pochi di noi sanno padroneggiare concetti come revenge porn, hate speech, cybercrime, phishing, ecc. E questi sono solo alcuni dei possibili inconvenienti della navigazione su Internet.

Se è necessario prendere la patente prima di guidare un qualsiasi veicolo, perché non dovrebbe essere necessario acquisire le conoscenze informatiche necessarie ad un utilizzo consapevole del mezzo Internet prima di accedervi?

L’atteggiamento dilagante è quello di una miope censura. Non se ne parla.

Meglio sequestrare gli smartphone all’entrata di scuola, piuttosto che disturbarsi a formare i giovani all’uso corretto dei mezzi tecnologici.

Nemmeno le famiglie possono dare un contributo sostanziale all’alfabetizzazione informatica, poiché non sempre hanno ricevuto uan formazione adeguata in tal senso.

Solitamente la fonte principale di informazioni relative all’utilizzo delle tecnologie e di Internet sono gli amici. Il che significa che i comportamenti sbagliati di uno finiscono per trasmettersi agli altri in tempi rapidissimi, innescando un effetto domino difficile da arginare ex post.

Di questi fenomeni ne abbiamo ampia testimonianza nelle cronache e nelle notizie di attualità. Se ne parla abbondantemente, ma non si promuovono mai tentativi concreti di soluzione. Eppure, le conseguenze per le nuove generazioni di “nativi digitali” sono consistenti e durevoli.

La fragilità emotiva e psicologica è solo una di esse.

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Pubblicato da chiaraincyberspace

Ho venticinque anni e vengo da un piccolo paese dell'Irpinia. Dopo la laurea in giurisprudenza ho avviato il mio blog, in attesa di capire cosa ne sarà del mio futuro.